Tornava frate Anselmo, maestro di campana
Spennando al suo passaggio le siepi di lantana.
Sin dalle prime luci di quella mite aurora
Il Nostro camminava senza stancarsi ancora.
Avea fatto la spesa il placido santone
E adesso rincasava grattandosi il groppone
Al fianco avea una gerla di vimini e di paglia
Comprata in un mercato come vecchia anticaglia
Durante una funzione per il Santo patrone.
E fra foglie di fico, aromi e qualche erbetta
La spesa si annusava dietro la sua barbetta.
Conteneva la gerla il vitto del convento
Anguille, ostriche, trote grosse da far spavento.
E ancora calamari, seppioline e merluzzi
Che già solo a guardarli di pesce ancora puzzi.
In un cestino a parte c’eran due “masculini”
Da consumare crudi nei giorni di digiuni
Un po’ per non peccare e un po’ per non lasciare
La gola ad imprecare.
E già il vecchio priore un brodino sognava
Mentre le litanie cantando bofonchiava.
Non poteva sapere quel gatto tanto santo
Che proprio al crocevia si nascondea l’inganno
Nella bella apparenza di due nere megere
con una grande panza e di questo anche fiere.


Si narra esser le due alquanto imparentate
Chi dice madre e figlia oppure due cognate…
Vivevan le gattastre piuttosto d’espedienti
Vagheggiando qualcosa da piazzar sotto i denti.
Nere , dal lungo pelo tessevan incantamenti
Proprio lungo il sentiero a qualche forestiero
Fra sguardi accattivanti e baffi sorridenti.
Eran così bardate le due vecchie megere:
sciarpe di seta in testa, sonagli e cavigliere
(la maggiore indossava anche una giarrettiera
per togliersi di dosso qualche primavera).
Sulle code profumi, unguenti e cose strane
E ferri di cavallo appesi alle sottane.
Reduci da una festa, forse dell’Unità
Avean fatto razzia di trote e baccalà.
Cacciate in malo modo s’erano defilate
E per questo erano, appunto ancora più affamate.
Non eran proprio belle..belle tradizionali
Di quelle che tu vedi su calendari e giornali
Eppure se le guardavi al buio e senza luna
Forse t’innamoravi di Bimba la più bruna.
Mommy la capobanda, aveva lavorato da giovane in filanda
Ma aveva una pensione piuttosto miseranda.
Bimba l’apprendista aspirava invece a un futuro d’artista;
infatti canticchiava un antico sonetto
alternando le lagne con qualche “do di petto”.
Questo era il ritornello dell’allegra ballata:

“Questa mattina
mi son svegliata
o gatto ciao
gatto ciao
gatto ciao ciao ciao
questa mattina
mi son svegliata
con tanta fame dentro il cor…”

Il mite in lontananza sente le due cantare
E pensa borbottando a qualche anima persa
A cui duole la panza e che deve aiutare.
Invece eran le arpie che silenti e furtive
Preparavano al santo un’imboscata
Per fregargli i salmoni e qualche orata.
Armate d’amuleti e ferri di cavallo
Circondano l’Anselmo sorpreso come un merlo
Accanto a una fontana
Mentre si rinfrescava il saio e la sottana.
Il pio strabiliato per quella apparizione
Le benedice intanto contro la tentazione.
Ma quelle due dannate sempre più affamate
Adocchiato il lauto fardello
Organizzano un piano, un inganno, un tranello.
Con passo saltellante s’accosta la più grossa al micio nero
E chiede petulante di leggergli il passato ed il futuro
Intanto la più secca, quella che balbettava
Quando si emozionava
Dietro quel santo gatto, la gerla già gli annusava.
E intanto gli carpiva dapprima i polipini
Un baccalà ammollato e infine i “masculini”.
Mentre la pitonessa tiene la zampa al mite
E gli legge il destino, gli predice per la sera
Un probabile digiuno.
Anselmo contrariato per quella profezia
Comincia a sospettare di quella vecchia arpia.
UHMMMM… un po’ gli è familiare
Quella gatta infernale!
Ma dove l’avrà vista? Dietro il confessionale?
Fra le fila del coro? Alla gita annuale?
E anche quella figlia… a qualcuno somiglia…
All’improvviso quel grande illuminato ha una rivelazione:
“Come ho fatto a non capire… grande pezzo di caprone!!”*
Son quelle due fetenti Mommy la gatta rea con la figlia babbea
Che gli insidiano il pasto con fare svelto e lesto.


Vestite da odalische hanno ingannato il santo
Lasciandogli le lische e un mare di rimpianto.
L’ira d’Achille non fu si crudele
Come quella del giusto privato d’ogni avere.
Egli gonfiò la coda , spinse fuori gli artigli
Ma il sonno lo prendeva con sonori sbadigli.
Era l’incantamento della vecchia maliarda
Che intanto se la squagliava con risata beffarda.
Ma presto si risveglia un po’ intronato il saggio
Che preso il suo coraggio e borbottando sermoni
Ripensa a come fare per riavere i salmoni.
E s’accorge che in lontananza
Un focherello saltella e danza.
Son quelle gattacce che sul barbecue
Preparan focacce con aglio e ragù.
Focacce di triglia, cozze in padella
Sarde impanate e un po’ di paella.
E per finire la cena in bellezza
Un grigio calamaro di Acitrezza.
Il mite le vede e pensa al convento
Senza la cena che patimento!
Bisogna darsi un po’ da fare
E quel che resta recuperare.
E prende la rincorsa e pare Polifemo
Tenendosi la veste solleva il freno a mano.
Come un forsennato il pacifico avanza
Mentre le due furbastre si grattano la panza.
Sorprese e appesantite per la lauta cena
Le due pensano bene di togliersi di scena.
Prima fugge la vecchia come una capinera
E nella fuga perde pure la giarrettiera.
La segue la babbea, anch’ella pure rea
La nera coda al vento in preda allo sgomento.
Ma Anselmo è più veloce e mentre corre tace
Raggiungendo le ladre che con la refurtiva
Stanno guadagnando del Simeto la riva.
Dentro il siculo fiume la pugna fu tremenda
Morsi, graffioni, botte… d’esser narrata degna.
Ma nella gerla ormai non c’era quasi niente
Soltanto una vecchia triglia
Che afferra l’occasione e se la squaglia.

 

Epilogo

Quella sera al convento si fece penitenza
E qualcuno guardava piangendo la dispensa.
I poveri micini s’ebbero a consolare
Con pochi croccantini.
Mommy e la degna figlia fuggite verso il mare
Pare che adesso rubano di sera alle lampare.
Ma qualcuno le ha viste sul luogo del misfatto ritornare
Perché senza quel mite non sanno cosa fare…
E stanno preparando un nuovo trabocchetto
Un inganno, un dispetto… da tendere ad Anselmo
Ma con sommo rispetto, perché nei loro cuori
C’è in fondo… tanto affetto!

 

Note del curatore

* Questa celebre frase ha tolto il sonno a generazioni di studiosi.
Esistono diverse scuole di pensiero sulla sua esegesi.
Negli ultimi decenni e alla luce di nuovi manoscritti rinvenuti nei pressi di una località chiamata Saint Null è stata rivalutata la tesi originale dello Pseudo Cat che traduce letteralmente:
“Come ho fatto a non capire, grande pezzo di coglione!”


M.J.M
14 set. 03