Il clandestino
ovverosia
sulle origini del Felis domesticus dall’antico Egitto ai giorni nostri
Sono un gatto clandestino, cuor di leone sguardo tapino
Fui trafugato da un pretoriano mentre dormivo sul vecchio divano.
Ambiva il soldato fare un presente a un caro amico piuttosto fetente;
gli aveva promesso una tigre ruggente ma si accontentò di me qui presente.
Pensava fossi un tigrotto nano ma ero il gran Felis, l’attuale soriano.
Issato a tribordo su di un baldacchino, sembravo Bacco quand’era bambino.
Ma quando egli s’accorse che non crescevo secondo i canoni correnti
Mi diede due pedate alle quali risposi conficcandogli i denti.
Chiarita la questione e sull’albero maestro rifugiato
Due spruzzi gli piazzai sul cimiero spennato
E pensando fremente alla maledizione di qualche faraone
Mi adagiò fra i cuscini per cercar redenzione.
Con Plinio il Vecchio filosofavo quando le triglie esaminavo.
Si dice che il nonno fosse africano, il libico Felis, un tempo lontano.
Adesso mi adatto in sala mensa, nella cambusa o nella credenza
E se davvero non trovo di meglio nel vecchio tinello appoggio la coda
….e lascio il cappello….
Ben presto diventai dell’imperiale nave la polena
Guardavo i liberti remare con gran lena,
avevo pure un’agrippina per la pennichella della tarda mattina.
Sull’albero maestro il traffico dirigevo mentre tre cozze fresche mi pappavo
Ero il preferito, calzavo sul ponte coturni infradito
Tempestati di perle, dormivo dove volevo… perfino nelle gerle
E di spezie orientali profumavo quando l’augusto pelo mi lavavo.
Ognun si ripeteva: “E’ una divinità… presto dagli un’anguilla
Due granchi e un baccalà”
E poiché non difettavo certo in educazione
Li lasciavo nel dubbio della pia illusione.
Nel porto di Ostia Lido un dì sbarcai contento
Dopo aver sopportato delle pulci il tormento.
In una cesta depositato, venni condotto dall’austero soldato a casa dell’amico
Che mi guardò perplesso ed esclamò: “Che fico!!!!!”
Quella famiglia mi amò al primo istante
La matrona mi addobbò con calzari e mutande,
mi cosparse tutto di unguenti, spezie e profumo
che quasi… ahimè la coda... per poco andava in fumo.
E così agghindato quasi un gladiatore per il lungomare passeggiavo per ore.
Ma non vi ho detto una cosa, una cosa segreta… nella nave celavo…
Anche una fidanzata!
La pelosa Tarquinia, gatta morigerata che un vecchio egiziano voleva imbalsamata
Rapita e salvata mi ha dato sei eredi e in un bagnoturco adesso si è impiegata.
Essa lavora infatti, mette in fuga i topastri e qualche volta i ratti
Ma solo mezzagiornata perché nel pomeriggio allatta la nidiata.
Indossa tunica e sandali è lo spauracchio di Visigoti e Vandali.
Adesso la famiglia si è allargata, la triglia non ci manca e neanche l’insalata.
Per noi hanno coniato monete e neologismi
Ci chiamano Soriani…senza eufemismi
Più famosi di Cesare siamo diventati e come merce rara
Talvolta anche esportati….
Qualche secolo dopo……….
Siccome ad Ostia si stava un po’ stretti verso il Colosseo un dì ci siam diretti
Migrati sulle grondaie, sul Tevere e sui tetti
Più di tutte le stelle ci siamo riprodotti
Con baffi storti e code al vento della nobile origine facciamo memento.
Siamo i soriani, i gattacci di strada… quelli che di notte vi fan la serenata
Beccandosi ogni tanto qualche lieve pedata.
E se codesta storia avete gradito
Se l’epica odissea vi ha un poco divertito
Orsù bando alle ciance… riempiteci le pance
Con un salmone fresco e un baccalà grigliato!
…che per l’augusto gatto abbiate a ringraziare
la nave benedetta che ci portò dal mare……….
maggio 2004